Padre Spadaro anzitutto coglie la perentorietà della domanda, che “di fronte a un evento tremendo, che non ha plausibilità né spiegazione possibile, chiama in causa Dio come in un tribunale sul banco degli imputati: un atto tragico che fa esplodere il grido della coscienza”; e c’è la replica, ben più plausibile: “Dov’era l’uomo? Cioè: dato che l’uomo è libero, e non è un pupazzo manovrato dalle mani di Dio, quel che è accaduto ha delle precise responsabilità assolutamente umane e nient’affatto divine”. Infatti “se Dio non permettesse la nostra libertà noi saremmo tutte brave marionette e tutto funzionerebbe nel mondo come un orologio a cucù”. Ma poi c’è la vera risposta: «“Dio dov’era?” Sulla croce. Dio era sulla croce, vivendo sulla sua pelle quell’ingiustizia e quel dolore atroce. Dio non è un motore immobile, ma un “agnello condotto al macello”, come ci dice la Bibbia».
È la stessa tragedia dell’assenza di Dio nel dolore del mondo che Elie Wiesel denuncia nel suo libro “La Notte”; però c’è la voce che lo stesso Wiesel ricorda di aver sentito nel campo di Auschwitz quando era in una fila di ebrei portati dagli aguzzini a vedere lo spettacolo di un ragazzo olandese tredicenne, “con un volto da angelo infelice, amato da tutti”, che pendeva da una forca: dinanzi all’assurdità della morte del piccolo innocente, che agonizzò per più di mezz’ora, risuonò, racconta Wiesel, l’interrogativo sconcertante: «“Dov’è dunque Dio?” E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca».
A chi lamenta la “divina indifferenza” di fronte al dolore umano si potrebbe ricordare la risposta che Dio stesso dà a Giobbe in quel grande dialogo biblico, quando gli dice: E tu dov’eri, quando io ponevo le fondamenta della terra, dov’eri quando ho posto un chiavistello al mare, e due porte dicendogli: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde?”
Per non far affogare i bambini in quel mare non c’è bisogno di un Dio teista, c’è bisogno di uomini umani, c’è bisogno di politiche non aguzzine.
Grazie. Mi sono appena confrontata da vicino con il capitolo 24 di Giobbe, dove appare ancora una volta lo scandalo di un Onnipotente (Shaddaj) che lascia che i malvagi opprimano i miseri, i poveri, gli orfani, le vedove (Gb. 24, 1-13). Qui Giobbe non pensa solo alla sua persnale sfferenza, ma a quella del mondo, della società in cui vive, e constata con dolore che Dio non presta ascolto alla preghiera del povero.
RispondiEliminaUn amico ha condiviso com me proprio stamane queste parole di una studiosa del mondo ebraico e le condivido volentieri perché mi hanno illuminato e vanno nella direzione indicata da Spadaro:
"L'idolo deve servire gli interessi dell'uomo, adattarsi alla sua domanda. Dio invece offre a ciascuno, anche all'uomo più straziato, il singolare miracolo che consiste nella capacità di divenire per altri segno di consolazione e speranza".