Non "Inizio
È oramai da un paio di mesi che la Liturgia insiste sul richiederci di vegliare, di rimanere attenti, di non assuefarci alla realtà ma di rimanere vigili perché il kairos, l’inedito di Dio, può sempre accadere in ogni momento e ci è chiesto di essere pronti a coglierlo. Con l’inizio dell’Avvento la scorsa domenica questo accento si è fatto pressante perché la venuta del Signore, che ha promesso di rimanere con noi tutti i giorni fino alla fine del tempo, può manifestarsi ogni giorno e non solo il 25 dicembre.
Venerdì scorso, l’8 dicembre, ci è stato posto un esempio eclatante nell’Annunciazione ricca annunci di eventi trasgressivi, accolti nella risposta confidente di Maria all’Angelo. Quando Dio irrompe nella vita dell’uomo tutto assume una luce nuova, l’impossibile diventa possibile e l’agire realizza speranze oltre ogni umana speranza.
Questo avviene nella preghiera che è prima di tutto accoglienza fiduciosa ed ascolto della Parola di Dio in tutta la Scrittura, dalla Torà, ai Salmi, agli Evangeli; poi è capacità di confronto della nostra vita alla sua luce e, infine, è discernimento sul nostro agire quotidiano. La preghiera diventa così quella “riserva” di olio che avevano con sé le 5 vergini saggie della parabola che hanno potuto così accogliere lo sposo che giunse improvvisamente e partecipare alla sua festa.
In questa seconda domenica di Avvento vengono proclamati i primi versetti dell’Evangelo di Marco che prende avvio, se ci si fa caso lasciandoci alle spalle l’abitudine dell’averlo sempre “sentito” (quindi non ascoltato ed accolto), in un modo “strano”: sono le prime parole ed è ovvio che sia l’inizio, non è forse vero?
Bisogna però fare maggiore attenzione perché quello che in italiano è stato tradotto con “inizio” in greco in realtà significa “principio” e, questo, dovrebbe richiamare almeno altri due “inizi” di libri biblici: l’Evangelo di Giovanni “In principio era il verbo …” e la Genesi “In principio Dio creò il cielo e la terra…”.
Allora potremmo riscrivere così: “In principio c’è una lieta notizia (=Evangelo)”. Siamo dunque ad un nuovo "inizio" della storia che inizia con una "lieta notizia" e quale è? È una persona: Gesù che Marco definisce con due aggettivi “cristo” cioè “unto” e “figlio di Dio”. In Israele si ungevano i sacerdoti i re e i profeti quindi Gesù ha queste qualità che sono dei doni e dei compiti, quelli stessi per i quali sono unti tutti i cristiani nel Battesimo e nella Confermazione in quanto assimilati a Gesù. Vale la pena di rileggere il n.9 della Costituzione Conciliare Lumen Gentium: “I credenti in Cristo essendo stati rigenerati (…) dall’acqua e dallo Spirito Santo (Gv 3,5-6) costituiscono «una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo tratto in salvo... Quello che un tempo non era neppure popolo, ora invece è popolo di Dio» (1 Pt 2,9-10)”.
I cristiani sono “popolo di Dio” come Gesù è “figlio di Dio”, l’altro attributo datogli da Marco che, nella cultura semitica, non significa tanto “generato” quanto “somigliante” a lui, al suo essere, al suo agire, avendo fatto suoi i suoi valori, condividendo e vivendo gli stessi progetti del Padre. Questa è quella che noi chiamiamo “sequela” che è il compito di mostrare il volto ricco di misericordia del Padre; non per nulla saremo “giudicati” secondo le nostre opere, non le nostre parole come ci ha insegnato Mt 25, 31-46 nell’Evangelo proclamato nella festa di Cristo Re due domeniche fa.
Questo primo versetto allora è una specie di titolo del tema che Marco intende sviluppare nel suo Evangelo iniziando dal “principio” di quella che sarà una nuova creazione.
Per prima cosa invita ad una duplice “conversione”: del proprio modo di pensare legato ai propri personali interessi che comporta ad avere un modo nuovo di rapportarsi con la realtà e gli uomini che ci circondano imparando a ricercare la giustizia, a soccorrere l’oppresso, a rendere giustizia all’orfano, a difendere la causa della vedova (Is 1,17).
Conversione che ci viene proposta attraverso la figura di Giovanni Battista presentata attraverso tre testi (Es 23,20, Mal 3,1 e Is 40,3) messi assieme perché non si citava mai un passo dei profeti senza appoggiarlo ad uno della Torà. Anche qui è necessario spogliarsi delle infrastrutture che vi sono state sovrapposte: viene detto che il nostro compito è quello di preparare la via, di raddrizzare i sentieri, di sgomberare la strada perché il Signore possa compierla con più facilità per giungere a noi e non viceversa, cioè che dobbiamo compiere noi per arrivare a lui. È il Signore che viene: se noi ci convertiamo gli facilitiamo la strada e giungerà a consolarci (Is 40,1) come un pastore che raduna le sue pecore (Is 40,11).
(BiGio)
Cavoli, come é difficile convertirsi veramente!
RispondiEliminaGrazie.
Linda