Una famiglia dove ciò che conta è l'obbedienza alla Parola

L’obbedienza alla Parola: ecco ciò che conta per Gesù e ciò che è primario in tutte le vicende che si intrecciano attorno ai primi istanti della vita del Figlio di Dio, Parola fatta carne. La Parola di Dio, quando è obbedita, crea non solo un legame solido di chi la accoglie con il Padre che l’ha inviata, ma anche tra gli esseri umani che se ne fanno discepoli. E così nelle scene evangeliche che seguono la nascita di Gesù a Betlemme, i vari personaggi che vi si incontrano hanno in comune questo tratto: l’obbedienza a una parola che li conduce al bambino e intanto ne intreccia le esistenze.


Se la notte di Natale abbiamo contemplato la Parola fatta carne, il Salvatore, in questa prima domenica, l’evangelo ci invita a volgere lo sguardo verso gli altri volti che si muovono e s’incontrano attorno a lui. Esso ci invita a cogliere ciò che rende possibile il loro convergere verso quel bambino e degli uni verso gli altri, e dunque ciò che forma quella particolarissima famiglia credente. Ebbene l’ordito della tela che si va componendo attorno al Bambino è l’accoglienza obbediente di ciò che egli è innanzitutto: Parola rivolta a ciascuno, che conduce a lui e che crea comunione.

Questo ci ricorda come ogni relazione passa per l’obbedienza alla Parola e come ogni tradimento di relazione è effetto di un allontanamento dalla Parola. In questo ci sono di insegnamento Maria e Giuseppe, specialissima coppia di sposi, che vivono la loro vocazione sponsale in forza dell’obbedienza a una parola loro rivolta. Vivranno in forza della medesima obbedienza anche la loro genitorialità nei confronti di Gesù, custodendone la crescita nel rispetto del mistero di cui era abitato e che, in quei primi anni a Nazaret, vedevano prendere forma il lui che “cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e grazia” (v. 40).

Così è anche per Simeone e Anna che, nell’accoglienza di quel bambino, sentono compiersi la loro attesa, che è quella di un intero popolo: la “consolazione d’Israele”, attesa da Simeone (v. 25) e la “redenzione di Gerusalemme” attesa da Anna (v. 38); e compiersi la loro stessa esistenza, che giunge a pienezza, nell’offerta grata che Simeone ne fa, prendendo “tra le braccia” il piccolo Gesù e cantando il suo congedo dalla vita terrena (v. 28).

(Sabino Chialà)


L'intera riflessione di Sabino Chialà a questo link:


https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/15855-obbedienza-alla-parola

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