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Domenica 31 dicembre: Sacra Famiglia - Lc 2, 22-40

Quali i nostri punti di riferimento difronte a scelte impegnative: Giuseppe e Maria ci propongono il loro


L’Avvento si è compiuto, la Parola promessa da Isaia, attesa da Giovanni Battista, custodita da Giuseppe, creduta da Maria si è fatta carne e ha preso dimora tra di noi, nato nel grembo della nostra storia.

Una Parola che “è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio (spada che Simeone annuncia trafiggerà l’anima di Maria); essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito” (Ebr 4,12), ci ha richiamato a raddrizzare le strade che il Signore compie per giungere a noi per rendere nuove tutte le cose e illuminare le tenebre nelle quali vaghiamo senza avere alcuna prospettiva, senza saper identificare alcuna via d’uscita nelle tragedie nelle quali ci siamo infilati, guerre ed altro.

A Natale è risuonato quell’ Eccomi con il quale il Signore è venuto a bussare alla porta della nostra storia.

 

Oggi, al di là delle visioni idilliache di una (“sacra”) famiglia, una coppia di giovani sposi con un figlio appena nato, l’Evangelo stimola a verificare ciò che sta alla base delle nostre scelte che, per lo più, non sono impegnative riguardando il vivere quotidiano. A volte però impongono di fare delle scelte che possono segnare la nostra vita, il futuro prossimo o lontano. In questi casi, quali sono i nostri punti di riferimento? Volentieri sono le nostre conoscenze, amici e a chi ha già passato situazioni simili oppure, per situazioni più complesse, ci si rivolge a professionisti come psicologi, pedagoghi …

L’Evangelo di oggi ci indica quale fosse il principale punto di riferimento di Giuseppe e Maria nell’indirizzare la loro vita: la Torà, la Parola di Dio. Si confrontano con questa nell’ascolto della preghiera che li guida, non tanto a compiere degli atti rituali che spesso possono essere sterili o formali, ma a realizzare il progetto di vita che hanno scoperto essere il loro secondo la volontà d’amore del Padre.

Poi hanno un figlio. È normale che i genitori abbiano una “progettualità”, dei sogni su di lui ma, in questo modo, corrono il pericolo di considerarli loro proprietà mentre il Salmo 127 (3-4) insegna che “i figli sono un dono che viene dal Signore; il frutto del grembo materno è un premio”. Quindi non devono essere portati a realizzare i progetti dei genitori, bensì devono essere aiutati a scoprire il loro ruolo nella società e, per i credenti, all’interno del progetto di Dio e mettersi al servizio di questo. Ecco perché Maria e Giuseppe, seguendo la Torà, presentano Gesù al Tempio; quando noi battezziamo i nostri figli, li “immergiamo” nella vita del Signore ed è quello che hanno fatto Giuseppe e Maria.

 

Incontrano poi due profeti, cioè due persone che vivono immersi nella Parola che li guida e caratterizza le loro vite. Non sono persone “straordinarie” ma che hanno alcune caratteristiche precise.

Simeone è un uomo “giusto e pio”. Essere giusti davanti a Dio significa essere e vivere secondo il suo cuore misericordioso e pio è colui che sta attento a non andare fuori strada, a non sbagliare obiettivo.

Questi aggettivi ci dicono che è un uomo che non si scoraggia difronte al tardare della venuta del Messia e rimane attento, vigile nell’attesaguardando avanti, aperto al futuro. È più facile che i nostri atteggiamenti siano l’opposto anche verso la Chiesa e le nostre Comunità quando, delusi, ci ripieghiamo rimpiangendo il passato; oppure quando non riusciamo a vedere via d’uscita a certe situazioni difficili o che esulano dalle nostre competenze dirette: la vita politica, le guerre, la povertà …

Nel descrive Simeone per tre volte Luca sottolinea che lo Spirito Santo era con lui e lo guidava: un altro modo per dire che era “giusto e pio”; è il suo rapporto con la Parola che gli garantisce e sostiene queste sue caratteristiche che sono di chiunque sia assiduo alla Scrittura. È questo suo lasciarsi guidare dallo Spirito che ha offerto un senso alla sua vita, che ci viene proposto di imitare e ci offre la possibilità di essere aperti ad accogliere il futuro. È questo che significa quel gesto di Simeone che prende Gesù tra le sue braccia, cioè la novità dell’Evangelo di Dio, quella Parola che è stata punto di riferimento per le scelte della sua vita e che si offre anche a noi per essere altrettanto.

Essere profeti non significa predire il futuro, ma saper leggere la realtà alla luce della Parola, quindi Simeone può ben essere definito tale come Anna che, dopo 7 anni di matrimonio, è divenuta vedova ed ora ha 84 anni che è un numero simbolico perché è il risultato di 12 moltiplicato 7: il primo fattore rappresenta Israele, il secondo la completezza. Anna è allora figura di popolo di Israele che, rimasto senza sposo, è infecondo, non può più generare ma rimane fedele in attesa della redenzione di Gerusalemme, in ascolto della Parola e ha la gioia di riconoscere quello che in tante parabole viene presentato come lo sposo che giunge per le nozze: Gesù. 

Per questo può lodare Dio e parlare del bambino a chi attendeva il Messia come lei che era una delle poche persone rimaste fedeli della Tribù di Aser, la più piccola e insignificante; quella che grazie alla fertilità del suo suolo e la contiguità con i popoli pagani si era mescolata con questi perdendo la sua identità. È un’altra testimonianza che il Signore viene riconosciuto anche da chi può essere considerato nulla dalla società e, questo, è il filo d’Arianna dei racconti degli evangelisti.

(BiGio)

  

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