Dal 2017 esiste il Manifesto di Venezia realizzato de giornaliste e giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell'informazione. Ma molto spesso davanti alla narrazione di crimini come i femminicidi c'è il rischio di porre troppa attenzione sul racconto di chi ha ucciso portando quasi ad empatizzare con lui mettendo in secondo piano la vittima e chi è rimasto.
Il Manifesto di Venezia è un vademecum che pone l'attenzione sul «rispetto della deontologia, no al sensazionalismo, a cronache morbose, a divulgare i dettagli della violenza, no all'uso di termini fuorvianti come “amore”, “raptus”, “gelosia” per crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento».
Ma qual è il confine tra la curiosità umana e il voyeurismo?Tra la morbosità e il diritto all'informazione? E cosa dice di noi il linguaggio che cerchiamo e utilizziamo in questi casi?Lo abbiamo chiesto alla sociolinguista Vera Gheno....
L'intervista di Alessia Arcolaci a questo link:
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