Subito dopo l'attacco terroristico di Hamas a Israele dello scorso 7 ottobre, le immagini della guerra hanno iniziato a circolare sui social media: ogni video o post attirava visualizzazioni, scatenava reazioni e generava nelle persone il bisogno di ottenere nuove informazioni. In Rete si è aperto così un secondo fronte di guerra: le battaglie fisiche che avvengono in pochi chilometri quadrati oggi sono diventate anche un conflitto “informativo” su scala mondiale, come lo definisce un approfondimento della testata Foreign Affairs.
Nei giorni successivi, Israele ha lanciato la propria rappresaglia, prima bombardando le città della Striscia di Gaza, poi attraverso un'invasione di terra: le vittime palestinesi sono già più di 15mila, soprattutto civili. Parallelamente il cosiddetto “fronte virtuale” si è consolidato: su Facebook, Instagram, X, TikTok e nelle altre piattaforme social, ognuno cerca di imporre la propria narrazione e lotta perché la propria opinione abbia la meglio su quella degli altri.
Il conflitto tra Israele e Hamas non è l’unico in cui lo spazio dell’informazione ha acquisito una crescente importanza: anche in Iran il governo sta investendo sulle proprie capacità di “soft war” per accrescere la propria “influenza digitale”. Le forze armate statunitensi hanno iniziato a integrare quelle che chiamano “operazioni nell’ambiente dell'informazione” all’interno della propria strategia militare. E anche l’esercito cinese ...
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